Con l’ordinanza n. 10065 del 15 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che la sede aziendale non è un luogo valido per firmare una conciliazione sindacale. Anche se è presente un rappresentante sindacale, la firma in azienda non garantisce la neutralità richiesta dalla legge.
Per la Cassazione, la conciliazione è valida solo se firmata in luoghi neutri, come l’Ispettorato del lavoro o le sedi delle commissioni di conciliazione. Questo per assicurare al lavoratore la massima libertà di scelta, senza condizionamenti.
Cos’è la conciliazione sindacale
La conciliazione sindacale è un accordo tra lavoratore e datore di lavoro per risolvere una controversia o modificare aspetti del rapporto di lavoro, come retribuzione o mansioni.
Serve ad evitare il giudizio, ed è valida solo se fatta con l’assistenza di un sindacato e in una sede “protetta”. È uno strumento utile ad entrambe le parti, ma va usato nel rispetto di precise garanzie per il lavoratore.
Il caso: riduzione dello stipendio firmata in azienda
Un lavoratore aveva firmato un verbale di conciliazione nella sede della propria azienda, accettando una riduzione dello stipendio. Poco dopo ha fatto causa per chiedere la nullità dell’accordo e ottenere il pagamento delle differenze retributive.
La Corte d’Appello gli ha dato ragione. Ha ritenuto che la conciliazione fosse nulla, proprio perché firmata in azienda e quindi in un contesto non neutro. Decisione poi confermata dalla Cassazione.
La Cassazione: serve anche un luogo neutrale
Secondo la Suprema Corte, la sede in cui si firma è importante quanto la presenza del sindacato. Non basta che ci sia un rappresentante sindacale: se si firma in azienda, manca la condizione di imparzialità necessaria.
La sede aziendale è considerata un ambiente sotto il controllo del datore di lavoro, e per questo non idonea a garantire la libertà del lavoratore. La firma in quel contesto può essere influenzata, anche indirettamente, dal potere datoriale.