La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12504/2025 pubblicata lunedì 12 maggio, ha confermato il risarcimento da 5mila euro a favore di un operaio di un’azienda del settore automobilistico. L’uomo era stato costretto a urinarsi addosso dopo essere stato impossibilitato ad allontanarsi dalla postazione per recarsi in bagno, senza previa autorizzazione da parte del Team Leader. Il fatto risale al 2019.
La vicenda giudiziaria partita da Lanciano
Il Tribunale di Lanciano aveva accolto il ricorso del lavoratore, operaio metalmeccanico di un’azienda dell’Automotive, riconoscendo la violazione della sua dignità personale. Una decisione poi confermata nel 2020 dalla Corte d’Appello dell’Aquila, che aveva ravvisato una lesione ai sensi dell’articolo 2087 del Codice civile, relativo alla tutela delle condizioni di lavoro.
L’operaio chiese aiuto, ma invano
Secondo quanto ricostruito, l’operaio aveva azionato più volte il dispositivo di richiesta assistenza, previsto per ottenere il permesso di lasciare la linea produttiva. Nessuno rispose. Alla fine, in condizioni di estrema urgenza, fu costretto a correre verso i servizi igienici, senza però riuscire ad arrivarci in tempo. Si bagnò i pantaloni.
Negato anche il cambio abiti
Tornato alla postazione, chiese il permesso di cambiarsi in infermeria. Anche questa richiesta fu rifiutata. Solo durante la pausa riuscì a sostituire gli abiti nel cosiddetto “Box Ute”, davanti a colleghi e colleghe. Un’umiliazione che ha contribuito alla condanna dell’azienda.
Il ricorso dell’azienda rigettato dalla Cassazione
Nel ricorso in Cassazione, l’azienda aveva sollevato sette motivi. Tra questi: l’assenza di prove certe sul fatto che i pantaloni fossero effettivamente bagnati di urina, la presenza di condizioni operative eccezionali quel giorno, una valutazione sbilanciata dei testimoni, e un peso eccessivo dato alla visibilità mediatica del caso.
Tutti i motivi sono stati ritenuti inammissibili dalla Suprema Corte, che ha anche condannato la società al pagamento delle spese processuali e di un ulteriore importo come contributo unificato.
Episodi ricorrenti nei luoghi di lavoro a ritmi serrati
Situazioni di questo tipo non sono nuove. Da anni popolano le cronache del lavoro, specie nei contesti dove la produttività impone ritmi pressanti. In passato, casi simili hanno coinvolto cassiere di una nota catena della grande distribuzione, costrette a restare alla cassa per ore senza potersi alzare nemmeno per esigenze fisiologiche, nemmeno durante il ciclo mestruale.