Durante il periodo di malattia i comportamenti online possono influire sul rapporto di lavoro, fino a provocarne la cessazione. E anche post social offensivi o denigratori, pur se pubblicati fuori orario, possono costituire giusta causa di licenziamento, se arrecano danno all’immagine aziendale.
Si tratta di un principio consolidato, che nel corso degli ultimi anno la Corte di Cassazione ha più volte confermato: la lealtà e la correttezza nel lavoro non si interrompono quando si chiude il turno o si attiva il profilo personale.
Foto online incompatibili con la malattia: si rischia il posto
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4047/2025, ha stabilito che un lavoratore può perdere il posto di lavoro se, mentre è in malattia, pubblica sui social contenuti che contraddicono le condizioni dichiarate. Il caso riguardava un dipendente che, malato, postava foto e video in palestra. Questa condotta è stata ritenuta incompatibile con le prescrizioni mediche, comportando una rottura del rapporto fiduciario con il datore di lavoro.
Non si è trattato di un episodio isolato: altre sentenze analoghe – come nel caso di un permesso studio anch’esso smentito da post vacanzieri, o di un musicista amatoriale che suonava durante la malattia – hanno confermato un orientamento chiaro: la fiducia è perno del rapporto di lavoro, e quando viene incrinata pubblicamente attraverso i social, il licenziamento è legittimo.
Criticare l’azienda sui social può portare al licenziamento
Ma il licenziamento non riguarda solo un comportamento errato tenuto durante il periodo di malattia. Anche lamentarsi online del proprio lavoro può costare il posto: è successo a una commessa che lo aveva fatto un video ironico pubblicato su TikTok .
Il tono era scherzoso, ma il giudice del Tribunale di Roma ha rilevato che l’immagine aziendale era stata danneggiata, e questo è bastato per ritenere valido il licenziamento.
Bisogna quindi prestare la massima attenzione a ciò che si pubblica sui social: commenti offensivi, critiche immotivate o contenuti discriminatori – anche se pubblicati da casa – possono avere conseguenze gravi sul piano lavorativo, soprattutto quando l’azienda è nominata o facilmente identificabile.
Il principio centrale resta quello della lealtà e correttezza, che continua a valere anche fuori dall’orario di lavoro. I social, pur essendo spazi personali, sono pubblici a tutti gli effetti: ogni contenuto condiviso può essere utilizzato come prova in giudizio, in particolare se danneggia l’immagine o la dignità del datore di lavoro.
Lavoratori metalmeccanici: una fiducia da preservare
Nel comparto metalmeccanico, la correttezza del singolo riflette la reputazione dell’intero reparto e dell’azienda. Un metalmeccanico spesso svolge compiti che richiedono attenzione, precisione e rispetto delle norme: manifestazioni contraddittorie via social – come allenamenti o uscite social non compatibili con un certificato medico – possono compromettere la dignità professionale e la sicurezza sul lavoro.
Da qui parte l’avvertimento: anche fuori dall’orario di lavoro, il linguaggio non è mai del tutto privato. Post pubblici, video, storie su canali social possono essere “trappole” se rivelano condotte incompatibili con lo stato di malattia.
È quindi fondamentale mantenere coerenza tra le condizioni mediche dichiarate e le attività pubblicate online. Anche innocenti testimonianze possono essere interpretate come disonestà o slealtà.


