La Manovra di bilancio del governo Meloni torna al centro del dibattito, e questa volta a sollevare dubbi non sono le opposizioni ma l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb). Nel mirino c’è il taglio dell’Irpef deciso per il 2026, presentato come una misura a sostegno del ceto medio, ma che in realtà sembra favorire soprattutto i redditi più alti.
Secondo i calcoli dell’Upb, circa la metà del risparmio d’imposta complessivo finirà nelle tasche dei contribuenti con redditi superiori ai 48mila euro. Una dinamica che coinvolge direttamente anche molti lavoratori del settore metalmeccanico, soprattutto quelli specializzati con redditi tra i 28mila e i 50mila euro, il vero cuore produttivo delle fabbriche italiane.
Solo 23 euro per gli operai, 408 per i dirigenti
I dati parlano da soli. Secondo l’analisi dell’Upb, il beneficio medio per gli operai sarà di appena 23 euro all’anno, contro i 408 euro per i dirigenti. Anche gli impiegati si fermeranno intorno ai 123 euro, mentre per i pensionati la stima è di circa 55 euro.
Un risultato che mette in evidenza la distanza crescente tra i vertici aziendali e chi lavora ogni giorno in officina o in linea di montaggio. Le parole dell’Upb, in questo senso, sembrano fare eco alle critiche dei sindacati metalmeccanici, che da mesi denunciano una forbice salariale sempre più ampia: stipendi d’oro per i manager e redistribuzione generosa degli utili, ma “nessuna risorsa” per rinnovare il contratto e riconoscere aumenti ai lavoratori.
Una lettura – quella dell’Ufficio parlamentare di Bilancio – esattamente in linea con le preoccupazioni espresse non meno di qualche settimana fa dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che aveva parlato di “stipendi dei dirigenti fino 1.000 volte in più dei lavoratori”.
I limiti del taglio Irpef e la questione dei redditi più bassi
Il taglio Irpef introdotto dalla Manovra riguarda la fascia di reddito compresa tra 28mila e 50mila euro, cioè proprio molti tecnici, saldatori, manutentori e operai specializzati del comparto metalmeccanico. Tuttavia, il beneficio si riduce a una “mancia fiscale” di poche decine di euro l’anno, insufficiente a compensare il potere d’acquisto perso negli ultimi anni.
Per i lavoratori con redditi fino a 28mila euro, invece, potrebbero arrivare vantaggi più concreti solo se sarà rinnovato il contratto nazionale Federmeccanica-Assistal: in quel caso, gli aumenti salariali previsti per il 2026 saranno detassati al 5%, una misura che il governo ha confermato anche per il prossimo anno. Ma senza il rinnovo del CCNL, anche questa opportunità resterebbe sulla carta.
Un divario che riflette un problema strutturale
Il messaggio che emerge dai pareri tecnici è chiaro: la Manovra non riduce le disuguaglianze, le amplifica. Mentre i dirigenti e le figure apicali beneficeranno di un risparmio di oltre 400 euro, gli operai — la maggioranza del settore metalmeccanico — si troveranno con un vantaggio fiscale simbolico, appena percettibile in busta paga.
Una distanza che non è solo economica ma anche politica. Il governo parla di “tutela del ceto medio”, ma per chi lavora nei reparti produttivi la realtà è ben diversa: tra inflazione, costo della vita e ritardi contrattuali, anche quei 23 euro rischiano di evaporare in pochi giorni.
L’Upb, con la freddezza dei numeri, ha messo nero su bianco ciò che i sindacati ripetono da mesi: la Manovra non basta, serve una redistribuzione più equa tra chi guida le aziende e chi le fa funzionare ogni giorno.


