Una recente ordinanza della Cassazione (n. 12473/2025) tocca da vicino molti metalmeccanici e installatori. La Corte ha stabilito che, in certe condizioni, il datore di lavoro può togliere dal superminimo individuale gli aumenti previsti dal rinnovo del CCNL.
Questo significa che, pur con un contratto nazionale che aumenta i minimi tabellari, in busta paga il netto potrebbe rimanere identico.
Il superminimo: come funziona davvero
Il superminimo è una somma extra che l’azienda riconosce a un lavoratore oltre alla paga base stabilita dal CCNL. Spesso viene data a chi svolge lavori specializzati o rischiosi: montatori, saldatori, tecnici per lavori in quota o subacquei.
Serve a premiare esperienza, capacità tecniche e disponibilità a mansioni difficili.
Se però nel superminimo non è scritta una clausola di “non assorbibilità”, l’azienda può coprire i nuovi aumenti del contratto nazionale scalando l’importo dal superminimo già erogato. In pratica, il netto in busta non cresce.
Quando il datore non può toccarlo
C’è però un’eccezione importante: se per anni l’azienda non ha mai assorbito gli aumenti, si forma un “uso aziendale”. È una prassi costante e generalizzata che diventa un diritto acquisito. In questo caso, il datore non può cambiare le carte in tavola da un giorno all’altro.
Fino a oggi, l’unico modo per cancellare l’uso era un accordo sindacale. Adesso la Cassazione apre alla possibilità di una disdetta unilaterale, ma solo se ci sono cambiamenti economici o organizzativi davvero pesanti e documentati.
L’effetto concreto in busta paga
Per un metalmeccanico con superminimo, l’effetto pratico è semplice: se il datore assorbe, l’aumento del CCNL non si vede sullo stipendio netto. Esempio: con un superminimo di 400 euro e un aumento contrattuale di 70 euro, il datore può ridurre il superminimo a 330 euro, lasciando invariata la paga complessiva.
Per questo è fondamentale capire se il proprio superminimo ha una clausola di non assorbibilità o se esiste un uso aziendale che lo protegge.


