I risultati della 175ª Indagine Congiunturale di Federmeccanica confermano le difficoltà del settore. Nei primi sei mesi del 2025 la produzione metalmeccanica è calata in media del 4,3% rispetto allo stesso periodo del 2024, peggio del -2,8% dell’industria nel suo complesso.
Un dato che riflette la contrazione del portafoglio ordini: il 24% delle imprese segnala diminuzioni, contro un 20% che registra aumenti. Le aspettative produttive restano fragili: solo il 19% prevede incrementi nei prossimi mesi, mentre il 25% si attende riduzioni.
Export e protezionismo: effetti già visibili
Il commercio estero del comparto segna una flessione dello 0,5% nel primo semestre 2025, con un -0,4% verso l’UE e un -0,6% verso i mercati extraeuropei. Pesante il dato relativo agli Stati Uniti, -6,1%.
L’83% delle imprese teme effetti negativi dalle nuove misure protezionistiche (chiaro il riferimento ai Dazi imposti dagli Stati Uniti), con rischi principali legati alla perdita di quote export (32%), difficoltà nelle catene di approvvigionamento (25%) e maggiore pressione competitiva sul mercato europeo (21%).
Occupazione stabile, ma con ombre
Secondo Federmeccanica, il 72% delle imprese non intende modificare la propria forza lavoro. Il 15% prevede assunzioni, mentre il 13% ipotizza riduzioni. La domanda di competenze resta elevata: il 66% delle aziende segnala difficoltà nel reperire manodopera qualificata, soprattutto profili tecnici tradizionali (50%), ma anche competenze digitali (26%) e trasversali (19%).
Costi strutturali e rischio marginalità
Il 42% delle imprese ha visto diminuire il MOL sul fatturato nel 2024 rispetto al 2023, mentre solo il 26% ha registrato un aumento. Tra i rischi maggiori per il futuro, le aziende indicano le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e dell’energia, seguite dall’instabilità macroeconomica globale.
«Anche un solo punto di dazi è troppo», ha avvertito la vicepresidente di Federmeccanica, Alessia Miotto, sottolineando la ridotta marginalità delle imprese. Per il direttore Stefano Franchi «il costo di produzione è oggi del 20% più alto rispetto a pochi anni fa: un incremento strutturale con cui l’industria deve fare i conti».


