La nuova gara per la vendita di Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva ora in amministrazione straordinaria, ha prodotto dieci offerte. Ma soltanto due soggetti hanno manifestato la volontà di rilevare l’intero perimetro industriale, che comprende gli stabilimenti di Taranto, Genova (Cornigliano), Novi Ligure, Racconigi, Paderno Dugnano e un impianto in Canada.
I due candidati principali sono entrambi fondi statunitensi: Bedrock Industries e Flacks Group, che si muovono con strategie differenti ma condividono l’obiettivo di acquisire l’intero gruppo.
Bedrock Industries, creato da Alan Kestenbaum, è un fondo con una consolidata esperienza nel comparto siderurgico e metallurgico. In Canada ha già risanato e rilanciato la siderurgica Stelco, divenuta oggi un modello di ristrutturazione industriale. Per l’ex Ilva, Bedrock avrebbe presentato un’offerta unitaria, accompagnata da impegni sul fronte occupazionale e sulla decarbonizzazione, proponendosi come partner industriale affidabile. Secondo fonti di stampa, il fondo potrebbe contare sul sostegno della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), chiamata a entrare come socio pubblico di minoranza o come garante finanziario del piano.
Il secondo fondo, Flacks Group, è un family office globale con sede a Miami, specializzato nell’acquisizione di aziende in crisi e nel loro rilancio. Ha presentato un’offerta in cordata con la società slovacca Steel Business Europe, attiva nel commercio di metalli. L’offerta sarebbe di tipo simbolico, ma accompagnata da garanzie sul mantenimento dei livelli occupazionali e da un impegno a partecipare ai progetti di transizione verde. Tuttavia, i commissari avrebbero espresso dubbi sulla solidità industriale e sulla concretezza finanziaria del piano.
Queste due proposte, pur rappresentando l’unica possibilità di mantenere un gruppo unitario, vengono considerate ancora fragili: mancano certezze su investimenti e tempistiche, mentre i lavoratori restano in attesa di un piano chiaro per Taranto e gli altri siti.
Le proposte “spezzatino”: otto offerte per singoli impianti
Otto altri soggetti hanno invece presentato offerte parziali, puntando su singoli impianti o specifici rami d’azienda. È la cosiddetta ipotesi dello “spezzatino”, che prevede la frammentazione dell’ex Ilva e la vendita dei suoi stabilimenti a investitori diversi.
Tra i protagonisti figura Marcegaglia Holding, uno dei maggiori gruppi italiani dell’acciaio. Marcegaglia si presenta in più cordate: una con Profilmec ed Eusider, orientata su Taranto, e un’altra con Sideralba, mirata su Salerno. Il gruppo lombardo sembra interessato anche a parte del laminatoio a freddo e degli impianti di Novi Ligure, ma non ha manifestato interesse per Genova Cornigliano, che resta fuori da tutte le ipotesi di rilancio.
Accanto a Marcegaglia, Profilmec — specializzata in tubifici e profilati metallici — ed Eusider, attiva nel taglio e commercio di acciai, partecipano a diverse cordate con ruoli industriali complementari.
A Taranto si registra anche l’interesse di Industrie Metallifere Cardinale (Imc), che vorrebbe realizzare un impianto di carpenteria pesante per infrastrutture portuali, e di Renezia, società del gruppo Toto, già attivo nel settore energetico e delle infrastrutture. Renezia punta a costruire a Taranto una centrale termoelettrica e a Gioia Tauro un rigassificatore terrestre, funzionali a fornire energia stabile e meno inquinante all’impianto siderurgico.
Nel Nord Italia, invece, si concentrano altre offerte minori: Càr Srl, specializzata in lavorazioni elettriche, insieme a T.L. Service e Trans Isole, società di logistica, avrebbe manifestato interesse per gli stabilimenti di Mantova e Novi Ligure. Si tratta però di proposte limitate, con focus su attività complementari e non strategiche per la filiera dell’acciaio.
Cornigliano esclusa da tutte le offerte
Un dato emerge chiaramente da tutte le manifestazioni di interesse: nessuno vuole Cornigliano.
Lo stabilimento genovese, dotato di un forno elettrico installato nel 2011 e mai avviato, resta fuori sia dai piani unitari dei fondi americani, sia da quelli dei gruppi che chiedono lo spezzatino.
Questo rappresenta un nodo politico e industriale di rilievo, poiché Cornigliano è storicamente parte integrante della filiera ex Ilva e garantisce oltre 1.000 posti di lavoro diretti, oggi coperti in larga parte da contratti di solidarietà.
I sindacati — Fim, Fiom e Uilm — hanno già chiesto garanzie: «Non accetteremo che Cornigliano venga esclusa dal piano industriale», hanno dichiarato i rappresentanti liguri, sollecitando un intervento di Palazzo Chigi.
Come funzionerebbe lo “spezzatino”
L’ipotesi di “spezzatino” comporta la cessione separata dei singoli asset a diversi investitori, con la conseguente perdita dell’integrazione tra i siti.
In questo scenario:
Taranto verrebbe frazionata tra più operatori: chi gestisce la produzione di acciaio grezzo, chi i servizi, chi l’energia; Mantova e Novi Ligure sarebbero destinati a produzioni specializzate; Gioia Tauro diventerebbe un polo energetico funzionale agli impianti del Sud; Cornigliano rischierebbe la dismissione o una lunga inattività, in assenza di investitori.
Il rischio è evidente: la perdita di massa critica e unitarietà industriale, con la possibilità di salvare alcuni stabilimenti ma non l’intero gruppo. Lo spezzatino, inoltre, renderebbe più difficile la decarbonizzazione integrata, prevista nel piano nazionale, e ridurrebbe la capacità di negoziare aiuti europei.

Verso una cordata italiana?
Alla luce di queste criticità, il governo starebbe valutando una cordata nazionale guidata dal gruppo Arvedi di Cremona, oggi secondo produttore italiano di acciaio, con Cdp nel ruolo di socio istituzionale.
L’obiettivo sarebbe evitare la frammentazione e costruire un polo siderurgico pubblico-privato, capace di gestire Taranto, Genova e Novi come un sistema integrato.
Arvedi, che dispone già di una filiera avanzata nella produzione “green” a Cremona e Trieste, rappresenterebbe un partner industriale più credibile dei fondi americani. Ma al momento non ha formalizzato un’offerta: il governo potrebbe tentare di coinvolgerlo nella fase successiva della gara, se nessuna proposta attuale risulterà convincente.
Un equilibrio ancora da trovare
Il quadro resta dunque aperto e complesso. Le due offerte americane promettono una gestione unitaria ma sono deboli nei contenuti; le proposte spezzatino salvano singoli siti ma minano l’integrazione del gruppo; Cornigliano rischia di essere il grande escluso.
In attesa delle valutazioni dei commissari, previste entro fine novembre, resta l’incognita su chi potrà davvero garantire un futuro industriale, occupazionale e ambientale a quello che un tempo era il cuore siderurgico d’Italia.


