Il lavoro a turni è una condizione diffusa tra i metalmeccanici e tra tutti coloro che operano in fabbrica, in particolare nelle produzioni su ciclo continuo. Si tratta di un’organizzazione che impone di alternare orari diurni e notturni, spesso con pesanti ripercussioni sulla salute e sulla vita personale. Proprio per questo motivo, il legislatore ha riconosciuto in diversi casi il diritto a un’anticipazione pensionistica per chi svolge attività turnistiche o notturne continuative.
Quando il lavoro a turni dà diritto alla pensione anticipata
Secondo quanto chiarito dall’INPS nella scheda dedicata ai “Benefici previdenziali per addetti a lavori usuranti” (inps.it), il lavoro notturno rientra tra le attività considerate usuranti, a condizione che sia svolto con continuità e per un numero minimo di notti all’anno.
L’attività deve essere stata esercitata per almeno 7 anni negli ultimi 10 o per la metà dell’intera vita lavorativa, e il lavoratore deve possedere almeno 35 anni di contributi.
Le soglie di notti e le quote richieste
L’INPS distingue tre livelli di esposizione:
- chi lavora almeno 78 notti l’anno può accedere alla pensione con la quota 97,6, ossia con 61 anni e 7 mesi d’età e 35 anni di contributi;
- con 72-77 notti annue, la quota sale a 98,6 e l’età minima diventa 62 anni e 7 mesi;
- con 64-71 notti, la quota è 99,6, con 63 anni e 7 mesi d’età.
Le regole sono fissate dal D.Lgs. n. 67/2011 e dalle successive leggi di Bilancio, che disciplinano l’accesso agevolato per chi ha svolto lavori notturni o turni gravosi, come confermato anche da chiarimenti del patronato Inca.
Un diritto non automatico
Il beneficio non è riconosciuto a tutti i turnisti: spetta solo se le condizioni minime previste sono rispettate e deve essere certificato dall’INPS tramite apposita domanda. Per molti metalmeccanici, tuttavia, il lavoro a turni rappresenta un requisito potenzialmente utile per accedere prima alla pensione rispetto ai limiti ordinari.


