Un recente pronunciamento della Corte d’appello di Bologna (sentenza n. 223/2025) chiarisce un punto fondamentale in materia di impugnazione del licenziamento.
Quando l’opposizione al recesso viene inviata tramite posta elettronica certificata (PEC), gli effetti giuridici decorrono da quel momento. È irrilevante, ai fini del termine dei 180 giorni per il ricorso giudiziale, che successivamente venga spedita anche una raccomandata A/R.
La PEC ha lo stesso valore della raccomandata
Secondo i giudici, la PEC garantisce lo stesso livello di efficacia e certezza della raccomandata tradizionale. Ciò significa che, se il legale del lavoratore anticipa via PEC la comunicazione scritta di impugnazione, il termine di decadenza giudiziale va calcolato da quella data. La raccomandata successiva è considerata solo una conferma formale, priva di effetti autonomi.
Il caso esaminato dalla Corte d’appello
Nel caso deciso a Bologna, un lavoratore licenziato per superamento del comporto aveva inviato l’impugnazione tramite PEC il 29 marzo 2024, mentre la raccomandata era partita il 2 aprile.
Il ricorso in tribunale era stato depositato il 27 settembre 2024. Tuttavia, considerando la data della PEC, il termine di 180 giorni risultava già superato, e il giudice ha dichiarato la tardività dell’impugnazione.
Non serve la firma digitale
La Corte ha anche chiarito che non è necessaria la firma digitale del documento inviato via PEC. È sufficiente la firma autografa apposta sul documento cartaceo scansionato e allegato al messaggio. Ciò che conta è che la volontà del lavoratore di opporsi al licenziamento risulti chiara e venga comunicata per iscritto.
Un principio ormai consolidato
La decisione conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’impugnazione del licenziamento può perfezionarsi anche mediante PEC semplice, rendendo così vincolante l’atto anticipato in formato elettronico rispetto a quello inviato in forma cartacea.


